San Giovanni – Capitelli

Prima che l’industria alimentare si interessasse alla produzione del prosciutto cotto, prima ancora che il prosciutto cotto assumesse una sua precisa identità come prodotto di salumeria, esisteva in alcune zone del nord Italia, in particolare nelle aree del bacino padano, la tradizione della lavorazione delle cosce di suino pesante per farne “cosce cotte”.

Naturalmente veniva utilizzato un sistema di lavorazione completamente diverso da quello praticato oggi, composto di tradizioni antiche e segreti del mestiere diversi da provincia a provincia, che marcavano le differenze tra le popolazioni della zona fino a diventare motivo di accese discussioni nel corso di incontri conviviali e sagre di paese. I principali argomenti del contendere riguardavano i periodi dell’anno o le fasi di luna più adatte, i tempi di frollatura della carne, i cicli di massaggio e riposo, per arrivare ai temi più spinosi della qualità e della composizione della salamoia.

Tra tutte queste diversità esistevano comunque alcune consuetudini consolidate ed indiscutibili che rappresentavano la base del metodo classico di lavorazione della “coscia cotta”: la carne fresca veniva disossata “chiusa” vale a dire estraendo l’osso femorale senza aprirla , conservandone così la naturale forma che favorisce la compattezza del prodotto, veniva poi trattata con la salamoia mediante siringatura in vena o semplicemente lasciandola a bagno per più giorni, quando la coscia era ben matura ed impregnata di salamoia (occorrevano circa quattro/cinque giorni) veniva avvolta in pezze di tela grezza o iuta, legata saldamente ed avviata alla cottura che avveniva in capienti contenitori pieni di acqua calda. Si otteneva così un prodotto unico, delicato ed estremamente appetitoso ricercato dagli appassionati più dello stesso prosciutto crudo.

Con l’avvento della produzione industriale del prosciutto cotto questa arte è stata completamente abbandonata per circa cinquant’anni fino a quando nel ‘95 su sollecitazione di un ristretto numero di appassionati salumieri, Capitelli decise di riscoprire e tornare ad applicare il metodo classico, originale, di lavorazione del cotto. Si è trattato di un’attività di ricerca e sperimentazione molto impegnativa volta al recupero dei modi e dei tempi di trattamento delle carni, della composizione delle salamoie nonché alla ricerca di suini nazionali che, per caratteristiche organolettiche, fossero in grado di rispondere al meglio ad un procedimento di lavorazione talmente artigianale e naturale da non poter assolutamente prescindere dalla qualità della materia prima.

Il prosciutto cotto SANGIOVANNI rappresenta, nella sua attuale versione, il risultato di tutta questa complessa attività di ricerca ed applicazione pratica; chiaramente l’azienda Capitelli non trascura di utilizzare ,nell’attuale processo produttivo, i modernissimi supporti tecnologici che il rinnovato stabilimento di Borgonovo Val Tidone mette a disposizione, ma tutto ciò avviene nella misura in cui questi strumenti siano di complemento ed ausilio al metodo classico ed originale di lavorazione della “coscia cotta” che oggi con orgoglio Capitelli